DONNE PER LE DONNE. Intervista a Erica Taffara

Intrecci di Donne è un laboratorio teatrale e uno spazio protetto dove donne italiane e straniere possono confrontarsi, conoscersi, apprendere l’arte dell’attore, della drammaturgia e dello spazio teatrale. Un luogo dove  far sentire la loro voce senza censure.

Durante la cena “Donne per le donne” le attrici del laboratorio si esibiranno in una performance dedicata alla serata.

Il laboratorio è ideato e condotto da Erica Taffara attrice formatasi presso la Ulysses Scuola di Teatro, dal 1994 al 1997, ha continuato il percorso professionale di attrice e scenografa con Teatrocontinuo frequentando corsi di arti marziali, stage teatrali, violino, percussioni, danza e, in particolare, lavorando  nel laboratorio di ricerca per l’arte dell’attore.

Ha affiancato Nin Scolari, direttore e fondatore di Teatrocontinuo, nei numerosi percorsi pedagogici, negli spettacoli, nella progettazione e l’allestimento degli eventi.

È divenuta pedagoga in corsi teatrali per adulti e per bambini, responsabile del settore Animazione di Teatrocontinuo per bambini e ragazzi, e ideatrice di progetti, ha diretto la regia di numerosi spettacoli del gruppo fra cui Giganti, un viaggio in Utopia (2010) – Parola di Albero (2012) – Sogno di un uomo ridicolo (2011).

Ha aperto in Teatrocontinuo un settore sensibile ai temi sociali in collaborazione con le associazioni e gli enti del territorio, in particolare attraverso il progetto Intrecci di Donne (teatro per donne straniere e italiane) in collaborazione con il Comune di Padova.

Nel 2014 è socia fondatrice della cooperativa TOP – Teatri Off Padova e partecipa alla ideazione e realizzazione di spettacoli ed eventi come regista, attrice, scenografa e continua la ricerca anche nell’ambito pedagogico.

Abbiamo incontrato Erica per scoprire qualcosa di più su di lei e sul suo lavoro con le donne. Ecco l’intervista:

 

Erica, raccontaci cos’è il laboratorio teatrale “Intrecci di donne” e come è nato.

“Intrecci di Donne” è nato nel 2007 con il nome “La Formica” e parte da un desiderio: quello di incontrare e conoscere donne di altri paesi che vedevo e incrociavo per strada; sentivo il bisogno di fermarle e chiedere “chi sei? Come ti chiami?” Ma come potevo, non si fermano le persone così.

Avevo una immagine, come spesso accade nei miei pensieri: moltitudini di persone che camminano in file, come formiche, che si spostano a piedi da un posto all’altro. Erano ancora tempi “non sospetti”, o perlomeno il tema dell’immigrazione come lo conosciamo oggi era davvero una novità.

Così mi sono detta che avrei organizzato un corso teatrale per e con le donne straniere e italiane. Così è iniziato. Il teatro è comunicazione, possiede grande potenzialità di relazione ed espressione della propria visione del mondo, ed è quindi un mezzo efficace per dar voce a chi spesso non ce l’ha. Il progetto è stato subito sostenuto dal Comune di Padova e ha iniziato il suo percorso, prima inserito nel piano di integrazione sociale e scolastica, poi nello SPRAR e negli ultimi tra anni ha cambiato un po’ veste, autofinanziandosi e rimanendo un corso teatrale per sole donne.

“Intrecci di donne” ha principalmente due finalità. La prima è di creare uno spazio mentale e fisico dove le donne hanno la possibilità di incontrarsi, conoscersi, confrontarsi dando forma alla propria cultura nel linguaggio artistico. La seconda finalità è dimostrare come individualità portatrici di bagagli carichi di storia siano l’ingrediente attivo per la creazione di un pensiero collettivo. Il laboratorio teatrale prevede una lunga fase di lavoro interna al gruppo, che culmina ogni anno con l’allestimento di uno spettacolo, fondamentale momento di condivisione con l’esterno. Quest’anno lo spettacolo che presenteremo sarà il numero undici.

 

Il 6 marzo raccoglieremo dei fondi per finanziare progetti fondamentali di sostegno alle donne oggetto di violenza. Spesso la violenza subita soprattutto in ambito domestico causa un blocco psicologico e una fortissima chiusura in sé stesse. Può il teatro essere in questo senso terapeutico?

Non ho mai chiesto a nessuna donna che ha partecipato al corso, se non dopo tanti anni di conoscenza reciproca, il perché fosse andata via dal proprio paese o come fosse arrivata in Italia, come non ho mai chiesto informazioni personali su avvenimenti delicati della propria vita. Il mio modo di lavorare stimola le partecipanti alla riscoperta del proprio sé, ma tutto accade in sala durante il lavoro e ciò che si rivela a ogni persona resta un proprio segreto. Non facciamo psicodramma ma cerco di portare le partecipanti a tradurre in azione teatrale e in personaggi con status derivati dal lavoro, i propri materiali personali. L’auto analisi, più o meno approfondita, avviene malgrado sé, a seconda del desiderio e della possibilità in quel periodo della propria vita di affrontare un proprio vissuto. Ma tutto è filtrato dal linguaggio artistico del teatro. Ciò che accade in sala quando si lavora è assolutamente possibile perché l’ambiente è protetto; la drammaturgia che si costruisce per la messa in scena non racconta mai esplicitamente la vita delle partecipanti ma viene contestualizzato in temi che emergono durante il lavoro.

Sicuramente questo modo di lavorare, sentirsi parte di un gruppo per uno scopo che è quello teatrale, che ti conduce ad esprimerti e scoprirti senza alcun giudizio, pregiudizio o morale, comunque con delle regole e un percorso molto preciso, che attiva il corpo, la mente e le emozioni, può essere anche terapeutico oltre che artistico.

Poi le donne sanno essere meravigliose tra loro, e sinceramente non è affatto scontato che un ambiente femminile sia così affiatato.

 

Il teatro e la letteratura antica, grazie anche alla tua formazione, hanno un ruolo fondamentale nel tuo lavoro, secondo te gli stereotipi di genere hanno radici lontane?

Assolutamente si. Ho dovuto andare a studiarmi scritti, testimonianze archeologiche e antropologiche sul matriarcato per costruire drammaturgie che fossero accordate con me, quindi scavalcare indietro nel tempo la cultura greca classica ritenuta la madre delle culture dei paesi occidentali. Più vicino a noi ho incontrato poi scrittrici come Christa Wolf e altre che hanno scritto i miti palesemente con una visione femminile, la donna che da voce alla donna, finalmente dopo secoli.

 

Il linguaggio violento e sessista utilizzato nei social è una gravissima espressione della società contemporanea. Come pedagogista, cosa consiglieresti di fare in ambito educativo e scolastico per contrastare questo fenomeno?

Trovo sia pericolosissimo perché come tutto quello che naviga sui social, viene moltiplicato e amplificato all’ennesima potenza, nel bene e nel male.

Non so, davvero credo che il problema stia a monte, perché il linguaggio sessista è legittimato in ogni ambito, politico, economico, artistico e purtroppo anche culturale. Finché chi manovra questi poteri e finché i media, non solo i social, contribuiscono a legittimare questo triste, becero e direi delinquenziale modo di comunicare, non si può fare altro che offrire ai ragazzi alternative sane, interessanti e coinvolgenti per i loro bisogni di crescere e socializzare, dare loro strumenti per discernere.

 

In base alla tua esperienza personale e professionale, quale potrebbe essere una ricetta utile per contrastare l’escalation di violenza sulle donne?

Come direbbe Cassandra di Christa Wolf, saper vedere e non tacere. La nostra sede teatrale si trova in zona industriale dove la sera ci sono decine e decide di giovanissime donne per strada che devono dare il loro corpo a uomini. Ogni lunedì sera torno a casa frustrata perché vorrei prenderle tutte in macchina e portarle via dalla strada e potere offrire loro una vita. Invece non lo faccio. Perché non so come fare.

Ma per chiunque questo è normale. Normale vedere ragazzine schiave degli uomini, per strada. Per tutti è normale. Ma questo non è normale.

Credo che se riuscissimo ad annientare la prostituzione, via per sempre dalla idea che questo sia possibile e ancora una volta legittimato dalla infame frase “è il mestiere più antico del mondo” allora saremmo sulla buona strada.

 

La cucina come il teatro è un’espressione artistica, ti piace cucinare? Hai una ricetta che ti piace preparare a cui sei particolarmente affezionata?

Direi che no, a me non piace tanto cucinare, ma mi piace mangiare sia piatti salati che dolci. Mi piace così tanto che anche un buon panino mi soddisfa e mi provoca godimento. Magari con pane di grano duro appena sfornato, con mozzarella, pomodoro, un pizzico di sale, olio di oliva e una spolveratina di origano, il tutto con ingredienti rigorosamente mediterranei. Naturalmente ho in mente odori e luoghi che condiscono il sapore!

 

 

 

 


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